Il libro dell’amore

Il libro dell’amore

“Cosa trascende l’amore?”
Mi facesti questa domanda, a bruciapelo, nel silenzio interrotto dalle cicale.

“A cosa pensi, adesso?”
Continuasti a chiedere.
Io non avevo idea di come rispondere. Non capivo queste domande. Avevo una tale frenesia di leggere il libro che tenevo il mano, in quegli istanti, che non riuscii ad afferrare neanche la domanda.
E tu continuasti, con i tuoi grandi occhi curiosi, incalzandomi sempre di più.

“Che cosa c’è al di là della morte?”
Ti chiesi perché quelle domande, perché proprio in quel momento. Non avevi mai dato segnale di essere così profondo, e né immaginavo che nei tuoi abissi fosse possibile una domanda del genere.
Ti risposi che non lo sapevo, che non erano domande da fare, che non avevo voglia di parlarne. Ma tu eri un muro, un grosso muro immerso nel cinguettare delle cicale di una estate torrida.

“Dai, mi dici a cosa pensi?”
Ma cosa vuoi che ne sapessi! Io pensavo continuamente all’azzurro del cielo, a tutto ciò che era stato e che avrebbe potuto essere. Certo, ripensavo ai miei errori, sotto le fronde di quell’estate talmente lontana da essere diventata leggenda.

“Cosa credi sia lo spazio?”
Io ho sempre pensato che lo spazio fossimo dovunque noi siamo. Forse non era così, o forse erano sogni di un adolescente che pensava troppo tempo da solo. Credo di essere stato un teenager atipico, forse addirittura criptico, nei modi e modalità. Mi chiamavano con molti appellativi, per questa mia solitudine, interrotta solo dalle tue assurde domande. Non me ne curavo ma, ripensandoci adesso, forse ne soffrivo tremendamente.

“Mi piace quando canti.”
Ancora continuavi? Mi facevi venire il nervoso. Perché io stavo cercando di leggere, e tu eri continuamente sulle mie spalle. Mi chiedevo perché non te ne andassi, e perché restavi intorno a me. Io ero lì, tu eri lì; la distanza tra di noi era simile ad una piuma che si posa sull’acqua calma di un pacifico laghetto.

“Dimmi…” e facesti un lunghissimo respiro. “Credi che tutto sia oscurità?”
In quegli anni avevo dei problemi. Eppure, io ci credevo. Credevo che tutto non fosse oscurità, pensavo che gli adulti e gli esseri umani avessero il potere di fare tutto. Ne provavo ammirazione, e non riuscivo a capire che io potessi diventare come loro. Sinceramente e genuinamente credevo nel cuore del mondo, e immaginavo che non c’era nulla che non si potesse fare o sistemare. Pensavo che l’amore, l’odio, le masse rivoltose, la guerra, credevo ingenuamente che tutto questo potesse essere sconfitto dalla volontà, dal desiderio di una piuma pacifica, e credevo che le domande che mi facevi potessero diventare la base per un mondo nuovo.
Ogni giorno, mi prendevano in giro. Ero giunto ad odiare; eppure, da quel giorno, grazie alle tue domande, io pensavo genuinamente di essere, un giorno, adulto.
Ora mi volto. Faccio fatica a sentirti. Mi fai forse delle domande. Non so quali. Adesso, sento solo il rumore delle cicale. Il silenzio imperterrito del mondo, l’imperfezione di una bellezza. Sei diventato altro, sei sparito. Sei tutte le mie scelte errate, sei ciò che poteva essere e non è stato. Sei il rimpianto passato di mille volte, sei la coscienza che non sapevo di avere. Ti piaceva quando cantavo; canterò ancora, nelle mie stonature, non credendo più negli adulti e negli esseri umani.

Penso che crederò solo in ciò che trascende l’amore; alba dopo alba, tramonto dopo tramonto, pioggia dopo pioggia. Tutto il resto, non conta più nulla.

Alessandro

Ingabbiato nella quotidianità e nello straordinario, mischiato tra il rosso del tramonto e la pesantezza dorata dell'alba. Sono autore autodidatta. Mi sento espressivo, solitario e al, contempo, immerso nel tutto, Sono alla ricerca di mille luci e altrettante ombre.
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