La torrida estate

La torrida estate

Fu in una torrida estate degli anni novanta che scoprii le gioie del crepuscolo. Esattamente in quel silenzioso momento, stavo tornando a casa dal mio vagabondare tra i campi. 

In quell’istante io mi fermai un secondo a riflettere sull’immenso flusso della sera. Fu una cosa istintiva, uno sgorgare di sensazioni direttamente dalle radici dell’anima.

Era un momento che sentii quasi magico, silente e, per la prima volta, vero e circoscritto. In mezzo a tutto il chiacchiericcio del mondo, tra i mal di testa del mattino e le immagini dei caldi pomeriggi, sentii finalmente, per la prima volta, una malinconia vera che trafisse le corde dell’animo.

Mi guardasti come si guarda qualcuno in difficoltà, e mi chiedesti se stessi bene. Ma, forse non lo hai mai saputo… Dio, quanto odiavo quella domanda. A tutt’oggi ho idea di che faccia feci, e né di cosa tu percepisti in me, in quel momento. Tendo, a tutt’oggi, a non guardare in faccia le persone; figuriamoci a guardare il mio riflesso nello specchio.

Scacciai la tua domanda con un piccolo gesto, e forse lo percepisti come un rude attacco nei tuoi confronti. Quello che so è che ero concentrato. Il mio sguardo venne rapito dai colori delle nuvole che sostavano verso il crinale, al di là dell’orizzonte che delimita la pianura padana dalle prime colline.

Ti ho odiato a lungo, perché non sei mai riuscito a capire tutta la bellezza empirica della mia sensibilità al crepuscolo. Tu dicevi una cosa, io ne pensavo un’altra; e, sebbene fossi estremamente affezionato a te, tu continuavi a parlare sopra la brezza del mondo, sopra i miei pensieri profondi e sopra tutta la mia meraviglia di bambino sperduto che non è mai passata.

I fischi nelle mie orecchie c’erano ancora, ma si trovarono ad essere sovrastati dall’ineluttabile bellezza di quell’angolo d’universo. Fu proprio in quella torrida estate che allora che sentii per la prima volta la sinfonia del tutto; e il grano venne mosso da una leggera brezza della sera, e i pipistrelli volarono nel momento del tutto. Le zanzare ronzarono nervosamente, le papere starnazzarono a più non posso e tutti gli ingranaggi del mondo erano a loro posto. Mi veniva da piangere, e se ci ripenso, onestamente, ho paura che questa sensibilità possa divorarmi ancora oggi. Forse devo smettere, con la sensibilità.
Starei a dirti molto di più di tutto questo, e ti chiedo di perdonarmi se non mi va più di tanto. Purtroppo non sono sicuro di ricordare bene. Ho questo difetto di restare incastrato tra le emozioni, come se il mio corpo ricordasse più quelle che i fatti nudi e crudi.
Posso solo dirti, con sincera sicurezza, che ho tuttavia i dettagli incastrati nell’anima, e nella frenesia del battere in questo momento queste parole che mi sgorgano dal cuore, come un flusso di coscienza emotivo che non posso bloccare.

Alla fine, come avrai capito, sono sempre le solite cose di cui scriviamo fin da quando ne abbiamo coscienza. I soliti dolori, le solite angosce, le solite morti e le solite nascite. Le solite stelle, da millenni, sovrastano le notti limpide delle pianure del mondo; e la luna, pallida ma possente quando piena, che riflette la luce del sole su un mondo a volte sacro e a volte empio. E di tutto questo io te ne avevo già parlato, ma non hai mai voluto capire. Non te ne faccio una colpa, e non la faccio neanche a me. Non riuscivo a comunicarti tutto questo e tu potevi solo intuire quanto sia pesante portare questo peso del crepuscolo, giorno dopo giorno, nei silenzi e nelle parole che non ci siamo mai dette.

Ti volevo bene, per quanto potesse servire. E io posso ricordare di una cosa. Se è vero che uno dei nostri destini è la frantumazione delle nostre vite, del nostro universo; se è vero che il dolore non esiste, se è vero che alla fine di tutto il tempo e lo spazio sono solo spiragli trafitte dalle nostre emozioni di noi esseri viventi, io posso dire di ricordare una cosa.

Tu, prima di morire, eri con me. Anche se non capivi e, forse, io non riuscivo a capire te, le tue frustrazioni, i tuoi sogni, i tuoi eterni dolori. Camminavamo nelle praterie della pianura e scoprivamo insieme, in maniera differente, l’eternità del crepuscolo. Tu con le tue parole, io con il mio silenzio. Il vuoto tra le stelle, le mille lune che s’incastrano tra i giorni e le notti gelate e torride, le emozioni che riecheggiano nell’eternità e questo immenso senso di solitudine in un angolo di universo, dove eravamo solo noi. Ecco, tutto questo, vivrà per sempre. Anche se nemmeno l’universo potrà essere eterno.

Alessandro

Ingabbiato nella quotidianità e nello straordinario, mischiato tra il rosso del tramonto e la pesantezza dorata dell'alba. Sono autore autodidatta. Mi sento espressivo, solitario e al, contempo, immerso nel tutto, Sono alla ricerca di mille luci e altrettante ombre.
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