Gravità

Gravità

Nel silenzio, sostavo all’interno della stanza. La luce del sole, bloccata dalle tende, scaldava i tessuti. Io sostavo, silente e inerme, sul letto della mia camera.

La gravità mi teneva ancorato al materasso. E io osservavo, senza proferire una parola, il soffitto opaco. Ogni tanto toccavo il muro di cartongesso, quasi ad assicurarmi che fosse ancora lì; ogni volta che alzavo il braccio e i miei muscoli si contraevano, sentivo un peso dell’eternità ancorarmi sempre più verso il basso.

Ero stanco. Non mi alzavo, e a malapena io mangiavo. E contemplavo, mentre la mia mente s’invaghiva di momenti di eterno silenzio; e l’andare in bagno diventava insostenibile, e la mia debolezza di corpo sembrava non combaciasse con la mia fragilità di spirito.

Non ero confuso, ma ero sicuro di essere in vita. E quindi io passavo così le mie giornate, ad ascoltare il tedioso canto del nulla. E divenni tutt’uno con esso, insieme all’eternità di un vespro che non avrei mai potuto toccare.

E fuori le stelle illuminavano, a volte, il cielo, quando non era plumbeo. Il silenzio della pianura veniva interrotto dal canto degli uccelli migratori, ma esso non giungeva a me.

Inalavo ogni respiro, nel profondo della mia stanza, che quasi scavava i recessi del mio cuore più profondo.

Nelle giornate di sole, io sentivo di riflesso solo il caldo, senza poterlo osservare. Nella mia mente io parlavo lingue straniere, vivevo innumerevoli vite al di là dei miei muri di cartongesso. Scambiavo l’amore per la fantasia; la gentilezza del mio cuore come unica qualità d’esistenza.

Era come se corressi, ma il mio corpo si rifiutava di muoversi. Una dissonanza cognitiva, alcune notti, mi prendeva appieno, tra un pasto e l’altro, quando ero solo in casa.

Mi annoiavo di tutto, e tutto mi sembrava così sotto mio controllo, tra quelle pareti di cartongesso.

Io ero ancorato alla mia gravità. Distruggevo ogni silenzio con il caos della mia mente, e coi miei respiri silenti che si perdevano nel limbo di un tempo che non esisteva.

Fu in quell’inverno, dove mi resi conto di essere morto. Ero tutt’uno nel poderoso ammasso del tempo, sballottato nella mia sensibilità, in una stasi perenne tra passato, presente e futuro.

Tra i respiri che inalavo profondamente, tra tutte le canzoni presentate, ascoltai, per un attimo solo, un vero silenzio. Il mio corpo ebbe un piccolo sussulto, un attimo di vibrazione. E capii di avere conquistato tutto.

Ero padrone del passato, presente e futuro. Sarebbe stato sempre così.

Avevo raggiunto la fine. Il silenzio era mio.

Io ero tutto. Bastò un risveglio di un momento.

Sentii la gravità svanire lentamente, fluttuando insieme ai respiri della mia stanza.

Mi alzai lentamente, come rallentato sott’acqua. 

Mi domandai se fosse giorno o notte, e che colore avesse la luce.

Per la prima volta, pensai seriamente alla possibilità di aprire le tende della mia stanza.

Avrei pensato che, forse, sarei stato in grado di farlo.

Alessandro

Ingabbiato nella quotidianità e nello straordinario, mischiato tra il rosso del tramonto e la pesantezza dorata dell'alba. Sono autore autodidatta. Mi sento espressivo, solitario e al, contempo, immerso nel tutto, Sono alla ricerca di mille luci e altrettante ombre.
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